Dardenne, raccontiamo le donne fragili di una casa famiglia
Registi a Roma per Giovani madri, preoccupa il futuro del cinema
(di Francesco Gallo) 'Giovani madri' dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne è un piccolo miracolo: come avranno fatto mai questi due registi uomini ad entrare così dentro la maternità, l'essere madre? Questa la prima considerazione da fare su questo film, già in concorso alla 78/ma edizione del Festival di Cannes (dove ha vinto il premio per la sceneggiatura), e dal 20 novembre in sala distribuito da Bim e Lucky Red. In questa storia i due fratelli belgi ci portano con grande naturalezza in un vero centro di accoglienza per giovani madri ad incontrare le storie autentiche di Jessica, Perla, Julie, Naïma e Ariane (interpretate dalle bravissime Babette Verbeek, Elsa Houben, Janaina Halloy Fokan, Lucie Laruelle e Samia Hilmi) che in questa struttura devono decidere in poco tempo il loro destino e quello dei figli. "Siamo rimasti assolutamente sconvolti, meravigliati e affascinati dalla percezione di vita che si respirava all'interno di questa casa famiglia piena di donne: educatrici, direttrice e psicologa. Qui queste giovani imparano i gesti per accudire il figlio e poi decidere se tenere il bambino o darlo in affidamento o in adozione, ma devono imparare anche a essere sé stesse, a reinserirsi nella vita perché spesso si tratta di donne che hanno interrotto gli studi e che non hanno un lavoro, donne di grande fragilità". Troviamo infatti nel film fidanzati in fuga di fronte alla maternità; madri che preferiscono affidare il figlio per farlo vivere nel benessere: in questo caso l'ultimo sguardo di una madre a un figlio che non vedrà mai più è straziante. Ma la scena più drammatica del film è il primo incontro di una donna adottata con la madre biologica: la prima bussa alla porta, apre un'anziana signora, si guardano a lungo e poi tra loro succede qualcosa, una magia: si abbracciano a lungo e piangono. "Spesso queste giovani donne vogliono diventare madri per dare valore alla propria esistenza, emanciparsi o uscire da un contesto familiare che spesso è fatto di violenza. Tutte quelle che abbiamo incontrato provengono da un ambiente molto povero e nel loro desiderio di diventare madri spesso c'è una voglia di riscatto per qualcosa che è accaduto alla madre o alla nonna". Dai registi belgi anche preoccupazione per il futuro del cinema: "Occorre un vero e proprio programma di formazione e i ragazzi poi non dovrebbero stare tanto tempo davanti allo schermo del computer o dello smartphone, ma andare invece al cinema, scoprire il piacere che dà l'esperienza collettiva di vedere un film in sala. Purtroppo a volte abbiamo a che fare con governi fatti di ministri che magari non amano il cinema e preferiscono i videogiochi, siamo purtroppo diretti da governanti che non sembrano più avere neanche il piacere di leggere un libro, figuriamoci andare al cinema o a teatro, ma dobbiamo comunque sopportarli. Bisogna insomma chiedere di programmare nelle scuole un corso di cinema come ci sono corsi di scienze e biologia". Proprio su questo racconta un aneddoto divertente Luc Dardenne: "Durante una proiezione in un carcere di Lione sono stato avvicinato da un detenuto, un camionista colpevole di uno spaventoso incidente colposo, che mi ha detto: lo sa una cosa, il carcere mi ha fatto scoprire il cinema. Mi dovevano rinchiudere per fare questo miracolo".
L.Diaz--RTC
